Aveva 67 anni, era presidente della Sezione dibattimento penale e di Corte d’Assise
Tribunale di Monza in lutto, ma la frase è molto riduttiva. Limitare la scomparsa di Giuseppe Airò, uno dei protagonisti della vita giudiziaria monzese, con una frase di circostanza è offensivo. Perché Airò non era un magistrato qualunque. Era una delle colonne del Palazzaccio di piazza Garibaldi. Per la sua capacità operativa. La sua umanità. Per la sua simpatia straordinaria che andava al di là del mestiere. Riusciva a farti sorridere anche se ti aveva appena appioppato una condanna di qualche anno. In questa sua dote lo aiutava molto l’aspetto fisico quasi identico a Lando Buzzanca. Con quei baffi sporgenti e il toscanello perennemente in mano. Ma soprattutto la battuta pronta.
Tribunale di Monza in lutto, l’aneddoto
Da qualche mese era assente dal lavoro. Una delle ultime volte che lo avevamo incontrato me la ricordo bene. Una luce strana negli occhi. Stanchi. Anche se le battute scaturite dalla conversazione, erano sempre di una brillantezza adamantina. “È un po’ che non ti fai vedere dalle mie parti – aveva esordito – capisco anche che l’ambiente non sia dei migliori, ma un caffè possiamo sempre prenderlo”. A dire la verità, ora che ci penso bene, l’esordio era stato diverso. Un sorriso sotto i baffi e le braccia allargate di chi si arrende. Avevo capito al volo a cosa si riferisse. Ad un articolo che avevo scritto tempo fa. Pesante. Duro. Vero. Riguardava un suo collega. “Non è successo niente lo sai? Mi aspettavo che qualcuno agisse”. Dissi. Mi aveva risposto svicolando a parole con la storia del caffè mancato. Ma l’espressione era ben altra. Ma questa è un’altra storia come diceva Irma la dolce nel film di Billy Wilder.
Tribunale di Monza, il ricordo
Lo potevi vedere austero dietro la scritta “La Legge è uguale per tutti”. O giù nel cortile sorridente con i bambini delle scuole venuti in visita al Tribunale. Era di sinistra. Molto di sinistra e non lo ha mai nascosto. Professione di fede che non gli ha impedito di svolgere il suo delicato lavoro in maniera esemplare. Tanto che in 30 anni di mestiere mio e 40 di suo, non ho mai sentito uno, avvocato o politico, lamentarsi della sua condotta. Era proprio una garanzia la sua persona. L’ultimo progetto che l’ha visto fra i firmatari, nel mese di aprile, è stato l’avvio del protocollo, unico in Italia, di orientamento all’autoimprenditorialità destinato ai carcerati.
Chi era Airò
Sessantotto anni. Dagli anni Ottanta in servizio a Monza, presidente vicario del Tribunale, presidente di sezione penale e presidente della Corte di Assise. Il giudice si è occupato di 40 anni di processi partendo da quello ai responsabili dell’Icmesa e della Givaudan per la fuoriuscita di diossina da un reattore il 10 luglio del 1976. Quello per il sequestro di Adelmo Fossati, rapito e ucciso il 15 aprile del 1980. Il processo ai carabinieri accusati di avere violentato una ragazza inglese nel 1987. Quelli più recenti, come il dibattimento che ha portato all’assoluzione degli imputati del cosiddetto Sistema Sesto che vedeva al centro l’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati. Di Giuseppe Airò il progetto di innovazione degli uffici giudiziari che aveva vinto il premio europeo Constantinus e il premio nazionale per l’Innovazione. Numerosi casi di cronaca tra cui il delitto di Lorena Radice. Fra gli ultimi, il processo per l’omicidio Redaelli a Solaro (istruito e non concluso). Casi di stalking e violenza contro le donne. Mancherà anche a me l’odore del suo sigaro e di giustizia che usciva dal suo “striminzito” ufficio di magistrato.
Marco Pirola