Il Galimba era il decano dei giornalisti brianzoli
Morto Mario Galimberti. Impossibile. Uno come lui non può morire. Non ci credo. I soldati della vecchia guardia sfumano solamente. Vuole la retorica che a lui piaceva tanto. Quelli che sul corpo hanno le cicatrici di una vita di lavoro poi, non scompaiono dalla vita terrena. Certo il Galimba, al secolo Mario Galimberti, era già malmesso ai tempi di Garibaldi. Figurati ora che di anni ne aveva 90. Certamente le sue condizioni di salute ultimamente non erano proprio da astronauta. Ma il “Galimba” continuava a scrivere. E questo mi bastava per saperlo vivo e in forma più che mai. Come ai bei tempi quando dettava legge in zona e tutti lo rincorrevano. Bastava alla nostra generazione di pivelli se paragonati a lui, per saperlo sempre in agguato. Pronto a far impazzire la concorrenza. E pure i suoi stessi colleghi che passavano gli articoli in redazione con i suoi pezzi disarticolati al limite del comico a volte. Ma c’era poco da scherzare con lui.
Morto Mario Galimberti: il personaggio
Inimitabile custode di un giornalismo passato. Sì, esageriamo con i paroloni. Perché il Galimba era un uomo a cui piacevano queste cose. Un pizzico (tanta) fantasia a volte. Una spruzzata di azzardo e l’articolo era fatto. L’unico ad essere in grado di “spostare” un incidente stradale di qualche chilometro. Il tutto per farlo rientrare nella sua sfera di competenza giornalistica. E chissenefrega se poi i particolari non coincidevano. Se gli altri impazzivano nel ricercare quell’incidente esattamente in quel posto. Lui non lasciava mai a piedi nessuno dei suoi “capi” e trovava sempre da riempire il “buco” in pagina. Ammesso che gente come lui abbia mai avuto capi. Lui era “Il Giorno” e Il Giorno in Brianza era lui. Punto. Gli altri? Solo utile corollario. Così per anni.Tanti.
Morto Mario Galimberti: la diossina
Eppure era un signor giornalista. Con tutti i difetti del mestiere. Gli spigoli del caso. l’entusiasmo della professione. L’episodio della diossina l’avrò sentito raccontare un migliaio di volte da lui. E tutte le volte il Galimba aggiungeva o toglieva, a seconda della convenienza, dei particolari. 15 luglio 1976 Seveso. E’ mezzogiorno quando esplode il reattore dell’Icmesa. Una nuvola avvelena tutto. Nessuno sa nulla né cosa sia successo. Per due giorni tutto tace. Nessuno sa perché gli animali da cortile muoiono uno dopo l’altro. Per tutti il caso è chiuso. Le autorità minimizzano. I giornali non scrivono. Gli animali continuano a morire. La gente inizia ad ammalarsi. Il 17 luglio Mario Galimberti su Il Giorno: «Bimbi rossi e gonfi per una nube di gas». Ne parlò tutto il mondo. Triclorofenolo. Parola sconosciuta che fa paura ancora adesso. Lui, il Galimba, sbirciando con i suoi occhi malati, vide prima degli altri. Su di un foglietto stropicciato allungato da un sindaco. C’era scritto un nome terribile e lui capì al volo. Diossina. La stessa sostanza chimica che gli americani usavano in Vitenam. Apriti cielo. E poi accadde grazie a lui quello che tutti sappiamo. Un casino mondiale.
Morto Mario Galimberti: il ricordo
Il colpaccio sulla diossina gli diede fama planetaria. Ci campò per anni inanellando anche uno dopo l’altra le sue perle involontarie. Era capace di tramutare il piombo in oro. Così la “nota pescheria” di Seregno veniva di volta in volta trasformata in un ristorante di lusso a 15 stelle. In una fucina di nuovi talenti dove per caso una volta era passato Adriano Celentano. Centro culturale di fama mondiale dove convivevano astici e libri. Succursale della Croce Rossa mondiale. Il tutto senza mai spostarsi da Seregno e nemmeno senza cambiare nemmeno la porta d’ingresso. Ma era fatto così. Capace di materializzarsi ad un invito per un aperitivo come di pontificare per ore davanti ad una notizia di “nera” che non lo convinceva. Mercoledì alle 15 l’ultimo saluto al Galimba nella chiesa più importante di Seregno. Funerale solenne. Con i labari della associazioni come avrebbe voluto. La presenza delle massime autorità come avrebbe scritto. Con gli occhi lucidi dei colleghi che hanno conosciuto le sue contraddizioni e sentiranno la sua mancanza.
Marco Pirola