Monza il risotto alla monzese non sarà più come prima

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Lutto nel mondo della cassouela, con Carlo Villa scompare la dinastia della cucina brianzola

Monza il risotto alla monzese non sarà più come prima. Non potrà essere come prima. Con la scomparsa di Carlo Villa se ne va un pezzo della visione culinaria di Monza. Quella che affondava le radici nella tradizione. Nella cossouela, nell’ossobuco, nel risotto alla monzese con la salsiccia. Quella che ti fa storcere il naso quando ordinano quest’ultimo rigorosamente alla monzese, ma lo vogliono giallo. Quella del Fantello. Bagnato dall’ombra dell’Arengario. Presidio culinario “alla buona”. In quella viuzza stretta in centro dove potevi mangiare ancora sentendoti in un’altra epoca. Respirando un’aria diversa dal fritto degli hamburger e altre diavolerie moderne. Lui, per anni, come il tenente Giovanni Drogo del romanzo di Dino Buzzati, attendeva i clienti in silenzio. Fiducioso e sicuro che i suoi piatti avrebbero potuto sciogliere chiunque. Fossero gli spaghetti alle acciughe o nervetti con le cipolle ormai quasi introvabili altrove fatti come Dio comanda. Certo il figlio Fabio ne ha raccolto l’eredità culinaria, ma con il papà era un’altra cosa. I suoi silenzi in attesa del primo boccone sono stati per anni leggendari.

Monza il risotto alla monzese e la dinastia brianzola

Carlo Villa, 87 anni, con i suoi fratelli costituiva una specie di “dinasty” della cucina brianzola. Perché qui, senza dubbio, la ristorazione è stata ed è una questione di famiglia. Se l’è portato via un “banale” infarto. Cosa voglia dire “banale” ne so qualcosa pure io… A 15 anni aveva iniziato a lavorare nel ristorante La Cantina di via De Amicis, gestito dai genitori Alfonso e Ada. La carriera di ristoratore era una tradizione famigliare. Tra padelle e risotti lavoravano anche i fratelli Mario (Fantello di Valle Guidino) e Paolo, morto nel 1997, titolare della Trattoria dell’Uva a Monza, ora condotta dal figlio Emanuele.

Il fratello gigante buono

L’altro fratello Giovanni, detto Nino, morto a marzo, era il titolare di un altro locale ben conosciuto dai cultori della gastronomia del territorio, l’albergo ristorante Roma Joker Fantello di Casatenovo. Quando il gigante buono mi scorgeva da lontano, mi veniva incontro con la sua mole tipica dell’oste di una volta. E pure quando eri seduto satollo dall’ennesimo piatto, arrivava con il carrello dei bolliti pronunciando la fatidica frase: “un assaggino dai, solo un assaggino che ti vedo patito”. Per la cronaca il suo “assaggino” era come minimo un metro quadrato di roba.

Tra risotto, Monza calcio e beneficenza

Carlo amava la sua città. I suoi personaggi. Sempre in prima fila nelle iniziative benefiche di solidarietà con la classe del 1933 che aveva la sua base operativa proprio al Fantello. L’altra sua grande passione era il Monza. Carlo Villa era infatti un accanito frequentatore dello stadio Sada. Del “pollaio”. Erano i tempi di Gigi Radice e Alfredo Magni. Passione che con quella per la cucina ha trasmesso al figlio Fabio. Li a due passi dal Comune potevi trovare anche qualche politico “tradizionalista culinario” con cui intavolare lunghe discussioni tra un piatto di risotto giallo oppure alla monzese. Lui serviva ai tavoli, consigliava, suggeriva meglio questo verbo. Se ne stava in piedi in silenzio aspettando la prima forchettata orgoglioso di quello che c’era nel piatto. Da qualche anno il figlio Fabio aveva preso le redini della trattoria Fantello. Suo padre era orgoglioso di lui. Sicuro di aver trasmesso quella passione e senso di ospitalità che per decenni aveva elargito personalmente. Mancherà non tanto il risotto che, grazie a Dio, viene ancora fatto con i canoni tradizionali della “chiesa cattolica romana non di rito ambrosiano”. Mancheranno i suoi silenzi e i sorrisi di soddisfazione.

Marco Pirola

 

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