Si dice spesso che la corruzione è un difetto endemico della nostra Italia, Brianza compresa.
Qualcuno sostiene che se siamo messi così, affossati anche da un sistema burocratico che sentiamo inutile e dannoso, è perché in realtà i meccanismi della società italiana (all’alba del suo 154° compleanno, che è oggi) sono affetti da una disponibilità alla corruttela un po’ a tutti i livelli e per qualunque dinamica.
Parliamo di corruzione, opponendola al concetto di legalità.
Forse capiremmo meglio quale sia il vero problema di questa nostra civiltà, se conoscessimo meglio l’idea generale di corruzione che emerge dai codici, civile e penale, del nostro meraviglioso e faticosissimo Paese.
Forse, così, potremmo iniziare a cogliere meglio anche l’idea di Legalità che rende invece prospere e più serene le Comunità Civili che la rispettano.
La corruzione è sempre stata intesa solo come “pubblica”, ossia nel comune sentire c’é corruzione quando è coinvolto qualche pubblico funzionario. Sintetizzando gli articoli da 318 a 322 del nostro codice penale, essa può essere definita come un particolare accordo (pactum sceleris) tra un funzionario pubblico ed un soggetto privato, mediante il quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo alle proprie attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto.
Il recentissimo arresto del dott. Ercole Incalza, potentissimo dirigente del Ministero dei Lavori Pubblici sotto svariati governi di ogni colorazione politica negli ultimi quattordici anni, porterà in auge l’aggravante prevista dall’articolo 319 bis del codice penale: “La pena è aumentata se il fatto (di corruzione) ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni, o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene”.
In realtà dall’inizio di questo secolo (e millennio), dal 2002 per la precisione, esiste anche un reato di corruzione tra privati. L’articolo 2635 del codice civile statuisce al suo primo comma che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni”. Le pene sono aggravate se il reato è commesso in danno di società quotate in borsa.
Già il buon Alessandro Manzoni insegnava che, quando in una società civile si sente la necessità di stabilire con una legge pene severe per determinati comportamenti, è perché quei comportamenti sono diventati assai diffusi e non si riesce ad arginarli con il comune buon senso e l’onestà della gente comune: era quanto egli spiegava a proposito del susseguirsi delle “gride” (cioè leggi di messa al bando) contro il fenomeno paramafioso dei “bravi”.
Se si è sentita la necessità di ampliare la quantità e la qualità dei casi di corruzione, andando a rendere penalmente punibili anche quelli che avvengono all’interno delle aziende private, vuol dire che il fenomeno è talmente diffuso da danneggiare seriamente tutta l’economia nazionale, privata o pubblica a qualsiasi livello.
In effetti basta leggere bene le fattispecie di reato che costituiscono “corruzione”, pubblica o privata, per rendersi conto di quanti comportamenti si tengono ogni giorno tra noi, a tutti i livelli, che sottindendono meccanismi corruttivi: anche solo il fatto in sé di regalare qualcosa a qualcuno per aver “agevolato” pratiche non equilibrate o dannose tra aziende private, oppure la semplice bottiglia di spumante per le Feste al funzionario che non eleva un verbale…
Questi meccanismi non si sconfiggono con le Leggi e pretendendo che le Procure della Repubblica mettano dentro tutti (perché poi il numero degli incarcerabili sarebbe davvero imbarazzante), bensì cominciando tutti noi dal basso a rifiutare determinate condotte sin dalle piccole cose: scegliendo ogni volta di tenere solo quel tipo di comportamenti che “se tutti facessero così, il nostro sarebbe un mondo migliore”.
Altrimenti, come dice l’antico proverbio, “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
di Luigi Paganelli