Monza, la moglie di Walter Visigalli si è presentata in ospedale e ha restituito la mano bionica del marito. Sembra una battuta, ma è la realtà. A raccontare l’ultimo colpo di scena nella vicenda dell’uomo che nel 2000 finì sotto i riflettori per il primo trapianto di mano in Italia, che l’estate scorsa ha dovuto farsi amputare l’arto per un effetto di rigetto ormai difficile da controllare e che dopo poco aveva stupito ancora presentando la sua nuova protesi bionica, è il chirurgo monzese Marco Lanzetta, lo specialista che lo segue “ormai da 15 anni”, autore dello storico trapianto di mano all’ospedale San Gerardo di Monza e regista della nuova operazione con la protesi, eseguita nei mesi scorsi all’Istituto italiano di chirurgia della mano.

“Provo un grande dispiacere per lui, gli voglio bene, lo conosco da anni”, racconta Lanzetta. Problemi con la protesi? “Si tratta di normali calibrazioni necessarie nei primi tempi. La mano bionica è uno strumento nuovo, è avveniristico, va sistemata. Non si può pretendere che sia perfetta subito”, commenta il medico. La moglie di Visigalli parla di ematomi e graffi provocati dal collegamento dell’arto al braccio, di presa non controllabile e di un episodio in cui il marito avrebbe rischiato di stritolare la mano della figlia. Lanzetta replica che il problema è tutto “nelle dinamiche familiari, non nella protesi che è innovativa”.
In particolare, secondo il chirurgo, “anche dietro il fallimento del trapianto, oltre che dietro la decisione di mettere uno stop all’esperienza con la protesi, non si sa se in via definitiva – puntualizza – c’è un problema di accettazione. La sua compagna non accetta la protesi e non accettava neanche la mano trapiantata”. “C’è sempre stato – continua Lanzetta – un forte lavoro degli psicologi, ancora adesso, per capire se ci sono margini per non abbandonare l’opportunità della mano bionica, se Visigalli lo vorrà”.
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