Lacrime di coccodrillo e coccodrilli tra le lacrime. Il colpo di pistola è anche per loro
Se volete un mero elenco di chi c’era e chi era assente vi debbo fermare subito. Se la curiosità di vedere qualche foto “fresca” della cerimonia vi ha spinto a cliccare su questo giornale, non troverete soddisfazione. Fermatevi, me ne farò una ragione. Sabato mattina al funerale di Paolo Gargantini non ero lì per lavoro. Per queste cose rivolgetevi altrove. Se invece volete leggere così per curiosità, sedetevi su di una panchina ruvida perché la vicenda di Paolo Gargantini è scomoda per molti. Me compreso visto che era un amico. Pasticcione fin che volete, ma amico.
I FUNERALI – Flash. Interno duomo ore 11. Davanti l’adagio di Albinoni suonato dal violino (ma nell’emozione del momento non vorrei aver sbagliato musica e autore). Lento, triste, ma maestoso nella sua dirompente emotività. Dietro le chiacchiere da bar tra i potenti di Monza che discutevano tra l’acquasantiera e le candele accese, sulla vendita del Milan ai cinesi da parte di Berlusconi. In mezzo tanta gente. La Monza che dice di averlo conosciuto e quella che lo conosceva davvero. Uno slalom tra un doppiopetto griffato Caraceni di qualche avvocato di grido e il vestito dimesso di qualche politico della “vecchia guardia” a cui Paolo apparteneva. Insomma c’erano tutti. Quasi. La Monza che piange perché lo sente. La Monza che sa piangere perché lo vuole e quella che finge di piangere perché lo fa tutte le volte. Le prefiche (non è una parolaccia) ad ogni funerale non mancano mai, figurati ad un funerale in duomo. Quello di Paolo Gargantini non ha fatto eccezione. Ma forse in fondo era quello che voleva l’amico Paolo. Lo stesso che lunedì mattina ha deciso di sparare a se stesso e alla sua città nell’ufficio di Cernusco. Voleva che Monza, la sua Monza, vedesse la bara sfilare sospesa tra le note di un violino e i ricordi. Quelli che si rincorrono ad ogni funerale nel fondo della chiesa tra i “pubblicani”, i peccatori che entrano solo a matrimoni e funerali appunto. Quelli della politica, mondo di cui aveva fatto parte e che in fondo forse era l’unico “universo” che voleva bene veramente a Paolo. Quelli che c’erano e quelli che non ci sono stati, ma ci sono ora quando rimane solo la passerella. Lacrime di coccodrillo e coccodrilli tra le lacrime. Il colpo di pistola è anche per loro. Sì, dopo aver visto quello che è accaduto, forse il duomo è stato il posto migliore per onorarlo. Lui voleva far parte di questa Monza sino all’ultimo. E ci è riuscito. Ciao Paolo, amico “pastrugnone” (come si dice in Brianza), figlio di questa Monza terribile che tiene da conto la bigiotteria invece che cercare di conservare i suoi gioielli come te.
Marco Pirola