La fotografia di Michele Zaza al MAC di Lissone

Michele-Zaza-Corpo-Cosmico

«La fotografia è il tempo di un momento della nostra esistenza. Il mio lavoro possiede una componente metafisica piuttosto rilevante nel senso che stimola il fruitore a leggere una dimensione psichica dello spazio e della pre-senza umana. La rappresentazione non è la mimesi del già visto, ma del pensato. La fo-tografia ha un ruolo strumentale. Essa è un mezzo efficace e fedele per visualizzare le mie domande sull’esistenza umana».

È con queste parole che Michele Zaza  spiega il suo rapporto con la fotografia, medium privilegiato che consente all’artista di osservare, interrogare, criticare e ri-creare l’esistente.

La mostra al MAC di Lissone presenta un excursus della quarantennale attività di Zaza, dagli anni Settanta fino ai giorni nostri, una piccola antologia che è anche un compendio della propria poetica. A latere dell’esposizio-ne, allestita al secondo piano del museo, l’artista ha inoltre realizzato un progetto speciale appositamente per la cittadina briantea. Fulgido esempio di quel mondo onirico ed estraneo alla dinamica convenzionale del quotidiano, il progetto dal titolo Corpo cosmico occuperà le cinque grandi vetrate al pian-terreno che si affacciano sul viale della stazione ferroviaria. Le immagini, che saranno visibili di giorno e di notte per i successivi cinque mesi, “dialogheranno” con i passanti, rivelando loro quell’ineffabile che da sempre caratterizza l’arte di Michele Zaza.

Tra i più acclamati maestri della fotografia concettuale italiana, Zaza ha sempre scandagliato la condizione umana, in particolar modo il corpo e il volto dei suoi protagonisti/performer. Il volto è inteso sia come spazio, sia come luogo dell’identità: “tratto somatico” della creatività. Si vedano in questo senso i trittici Paesaggio primo del 2000 e Paesaggio segreto del 2005; le sequenze fotografiche scandiscono gesti minimi ma eloquenti, ges-tualità che l’artista associa al colore. Il corpo dipinto evidenzia infatti le funzioni vitali, deli-neando un universo interiore e magico al con-tempo (per Zaza “la magia è una necessità”). Ne nasce un racconto per immagini in cui le figure assumono la valenza di viaggiatori che risalgono alla propria origine per riscoprire se stessi, portando così a compimento una cicli-cità e una circolarità archetipica.

Oltre a creare relazioni interpersonali, le foto-grafie sono “rivelazioni” che convertono il pensiero in immagine. Le idee (vale a dire le “astrazioni”) si contrappongono al reale (ba-nale, standardizzato, effimero), ragion per cui l’artista dissimula il reale in ambienti disadorni e atmosfere rarefatte. Spazi magici-arcaici-spirituali dominati da un blu profondo, cosmico, onirico, segreto. È il caso dei polittici Ger-minazione celeste del 1977 e Cielo abitato del 1985, dove il blu evidenzia l’unione tra terra e cielo – quell’ideale superiore che se-condo l’artista è in grado di raggiungere la ve-rità. Quell’intima Verità che è pura Bellezza.

La ricerca di Zaza si snoda su doppi cardini: nascita/morte, istante/eternità, finito/infinito, psichico/fisico, divino/umano, luce/ombra, razionale/trascendentale. A interessarlo è il concetto di un’esistenza manichea, fondata sugli opposti, estremi che diventano para-dossi. Non per nulla l’artista dichiara che «il linguaggio dell’arte possiede la qualità di trascendere il reale fino a sostituirlo con un’ulteriore apparenza, più conforme alla verità soggettiva; fino a poter asserire che se l’iterazione del quotidiano uccide l’arte, questa – a sua volta – risorge per uccidere la quotidianità».

 

 

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