Di Marco Pirola
Desio, lacrime di coccodrillo per la senatrice. Lucrezia Ricchiuti ormai ci ha abituato ai pentimenti, alle retromarce, ai non capisco (caso Amato). Ai: io non volevo, ma me lo ha chiesto il partito. Ora però deve spiegare ai suoi elettori e al suo mentore Pippo Civati, perché ha votato il “decreto mascherato” per salvare gli abusivi in Campania. Le cose si cambiano, cambiandole, era lo slogan fortunato di Pippo. Forse magari si poteva cominciare da un semplice voto contrario, visto che non riguardava una poltrona, ma un principio. Brava la senatrice. Al Nord è inflessibile su tutto e tutti, ma il ponentino romano e la paura di far cadere il governo, la porta a stabilire un principio. A Desio le case abusive vanno abbattute, in Campania no. Come sempre la comunista di ferro era restia a votare l’ennesima “porcata” salva governo, tiene a farci sapere. I soliti dubbi, i soliti sospetti, ma poi la manina per dire sì, controvoglia certo, è stata alzata. Assieme a quella del forza italiota monzese Paolo Romani che di urbanistica se ne intende, ma almeno è coerente nelle scelte. Alla fine il suo voto al Senato è stato favorevole al salva abusivo campano.
“Se devo dire la mia opinione questo disegno di legge non mi piace per niente ma è anche vero che la situazione in Campania è esplosiva. Io avevo proposto un emendamento per dare la possibilità ai comuni di abbattere gli immobili abusivi. Bene il relatore di Forza Italia Caliendo mi ha risposto che l’emendamento non era pertinente e così il governo!!!!! Sono però riuscita a farmelo approvare come ordine del giorno. Nel prossimo decreto o disegno di legge cercherò di farlo approvare con un nuovo emendamento”.
Buonanotte. Crisi di coscienza, ma voto favorevole. Ma che ci sta a fare a Roma allora? Del resto la filosofia del: non capisco, ma mi adeguo non l’ha certo inventata lei. Era del compagno Ferrini, il personaggio di una trasmissione televisiva di Renzo Arbore che vendeva pedalò. L’importante è avere una marcia in più sempre pronta: la retro. O come nel caso di Ferrini, una poltrona come salvagente.