Da Monza alla Grecia, il referendum si farà e Tsipras mobilita la tv. Proseguono gli interventi del collega monzese Luciano Mutti, ex caporedattore de Il Giorno Monza e Brianza, da tempo trasferitosi ad Atene e osservatore in presa diretta delle vicende greche.
LA SITUAZIONE – Nuovo colpo di scena: il referendum lanciato da Tsipras si farà perché il Consiglio di Stato non avrebbe competenza in materia. A decidere dovrebbe essere la Corte Costituzionale. In queste ore, ad Atene e in tutta la Grecia, c’è uno straordinario spiegamento delle forze del partito di governo Syriza a favore del “no”. È lo stesso premier a spendersi in prima persona. È apparso di nuovo in televisione per sostenere le ragioni del no e in queste ore parteciperà anche alla grande manifestazione di piazza ad Atene. Sul risultato di questo referendum, inutile negarlo, si gioca la faccia. E il posto. D’altro canto non in molti ricordano una cosa: che se vincesse il no, la proposta del 25 giugno, da tutti giudicata inadeguata, diventerebbe operativa così com’è e non come base di una rinegoziazione come vorrebbero, invece, i sostenitori del sì.
I SONDAGGI – Nel frattempo ad impazzire sono i sondaggi. Atene, o forse Babele. Accendi la televisione e vieni investito da una ridda di tribune referendarie. Si urla, si strepita, si propongono tesi assennate assieme a fanfaluche e arzigogoli bizantini. Pare di essere in Italia. I sondaggi vengono sparati e smentiti a raffica. Più che un referendum è un atto di fede anche perché il testo stesso del quesito non è di facile comprensione e le sue interpretazioni sono le più varie: “no” alla proposta delle istituzioni europee su nuove misure di austerità, ma “sì” all’Euro e a un nuovo accordo con l’Europa secondo la tesi ufficiale di Syriza (che però al suo interno ha qualche devianza verso un no più radicale). “No” a Syriza, all’Europa, all’Euro e sì alla dracma da parte del partito di estrema destra, Alba Dorata, alleato scomodo della sinistra, ma che comunque è il terzo partito in Grecia e più o meno sulla stessa posizione il partito comunista KKE. Anche sul fronte del “sì” la proposta è complicata anche se più chiara: “sì” da parte di Nea Dimokratia, Pasok e Potàmi, alla proposta europea in via di principio, ma non nella sua stesura che dovrebbe essere rivista a seguito di un negoziato meno feroce per la Grecia. Il tutto a banche ancora chiuse e in un clima di assoluta incertezza per il futuro. Le parole d’ordine, da una parte e dell’altra sono axioprepia (dignità) e ekviasmòs (ricatto). La sinistra in particolare solletica il nazionalismo che è nel dna dei greci. Gli interventi delle organizzazioni internazionali lederebbero la sovranità del popolo greco, la sua dignità e la stessa democrazia, da qui la convergenza con l’estrema destra, e rappresenterebbero un vero e proprio ricatto per far cadere il governo di sinistra. La qual cosa è inverosimile se si considera che sulla crisi del debito sono saltati il governo di centrosinistra Pasok di Giorgio Papandreou, poi quello del tecnico Lucas Papadimos (stimatissimo in Europa), sostenuto da centrodestra (ND), socialisti del Pasok e Laòs, quello transitorio di Panagiotis Pikrammenos, poi quello di centrodestra di Antonis Samaràs (Nea Domokratia) appoggiato dal Pasok. Tutti invisi a frau Merkel? Ma tutto finisce nel calderone che alimenta la sindrome da accerchiamento e il vittimismo dei greci. Che non sono molto portati all’autocritica. Sotto accusa soprattutto i tedeschi, gli invasori che non hanno pagato gli indennizzi di guerra, ma che vengono trattati benissimo se arrivano da turisti ed euro ferentes Su tutto pende il giudizio del Consiglio di Stato chiamato a decidere entro oggi se il referendum sia o no costituzionalmente proponibile, mentre già si preparano i seggi. In ogni caso pare perdente la linea di Alexis Tsipras nonostante i peana del suo partito: se il Consiglio di Stato gli blocca il referendum lui fa una figura barbina, altrettanto se vince il “sì”, ma anche se passa il “no” non sarà probabilmente il plebiscito che il giovane leader di Syriza sperava per andare a pestare i pugni sui tavoli europei. Ci andrà con alle spalle un paese spaccato e con il sostegno di Alba Dorata poco lusinghiero nello scenario internazionale e all’interno del suo stesso partito. E trovare un accordo sarà ancora più complicato atteso fra l’altro che sia lui che il suo ministro Yanis Varoufakis non godono delle simpatie degli interlocutori a causa di atteggiamenti un po’ troppo spavaldi
Luciano Mutti
Giornalista, già caporedattore Il Giorno – Monza e Brianza