Venticinque anni fa chiudeva BrianzaOggi, il primo quotidiano di Monza e della Brianza
C’era una volta un quotidiano di Monza. E sotto certi aspetti c’è ancora. Fosse altro solo nei ricordi di chi lo ha vissuto o nelle esperienze di chi ha fatto carriera partendo da quello “straccio” di carta maleodorante d’inchiostro. C’era una volta. Quando Facebook era di là da venire, Google nemmeno era stato pensato e i telefonini stavano per debuttare nelle tasche di pochi eletti. Il computer e il sistema informativo sì. Quelli erano presenti nella redazione. Prototipi sperimentali come solo certe navicelle russe che funzionavano a suon di bestemmioni e crisi isteriche. Lavoro di cacciavite e chiave inglese. Altro che applicazioni e motori di ricerca. Venticinque anni fa spirò quel quotidiano di carta fatto da giornalisti tutt’altro che di carta. Spirò perché fu staccata la spina, come spesso avviene per mano dei pavidi. Spirò perché a monte c’erano intrecci mal riusciti ed ancor peggio saldati. Spirò perché, nonostante quel quotidiano fosse avanti di 15 anni sulla storia, vi fu chi del giornale aveva pensato soltanto di servirsi. Oddio: forse non sarebbe sopravvissuto ad un’ondata di altri eventi, quel giornale. Con i patti leonini tra editori veri, editori occasionali e soggetti che mai sarebbero dovuti entrare in contatto con la stampa (nemmeno da lettori, tale era la loro ignoranza) si fa poca strada, ma questa è la storia di sempre. Ed anche in questo BrianzaOggi era avanti. Fatto sta che un’intuizione improvvisa (fine anni Ottanta) – c’è un futuro per Monza capoluogo, c’è un futuro per la Brianza amministrativamente autonoma – aveva spinto quel manipolo di indigeni a provarci, a raccogliere le energie giornalistiche sotto la mano di un monzese acquisito e che Monza aveva metabolizzato come forse solo dall’Est della Penisola sanno diventare interpreti del “genius loci”. Arrivava dal “Giorno”, quel direttore responsabile e lì aveva scongiurato un fatto epocale qual era l’ormai data vendita del giornale per lire una. Arrivò, raccolse pochi veterani e tante energie nuove e partì alla ventura. Per dire della sua forza di persuasione, questo il tenore di un colloquio con il candidato a fare il “jolly” tra redazione Province (Monza era già provincia, nella nostra testa; ma si era destinati a navigare oltre tali confini) e redazione Sport: “Quanto prendi dove sei adesso?”. “Beh, prendo ics”. “Ti pago il 25 per cento in meno e ti prometto che la sera uscirai con le ossa frantumate dalla stanchezza, vieni?”. Si accettò. Il che dice della forza di persuasione di quell’uomo.
I RAGAZZI CHE FECERO L’IMPRESA – Fu davvero un’impresa. Primo, per l’assenza di una campagna di lancio, il giornale giunse in edicola quasi all’insaputa degli stessi edicolanti. Secondo, perché l’area da coprirsi era enorme: entrava in gioco quel che conosciamo, più un pezzone di Brianza comasca, più i Comuni dell’appendice bassa a destra del Varesotto (quelli che con Varese c’entrano poco da sempre, Saronno il fulcro). Terzo, perché si lavorava su videoimpaginazione da “software” un “tantino” sperimentale ed a doppia chiave. Per dirla alle brevi, quando la pagina era stata completata serviva un nuovo passaggio di rielaborazione, sicché dopo una quindicina di giorni si incominciò a capire di essere alle prese con strozzature a collo di bottiglia quali forse erano state sperimentate, lungo la linea di produzione. Solo all’“Alfasud” di Pomigliano d’Arco accadeva una cosa simile. Quarto, perché a monte taluni soggetti erano stati inseriti come parte del “pacchetto” per la partecipazione di terzi all’impresa editoriale, ma la loro qualità intrinseca era inversamente proporzionale all’impegno ed all’efficienza (da che cosa si misura l’efficienza? Dal materiale in sé. Se chi compera il giornale ti manda a pascolare trovando poco che lo interessi, e per di più quel poco è scritto con i piedi, campa cavallo). Epperò: bastarono tre aggiustamenti in corsa, a costo di mezzi scazzi che nel mestiere ci stanno e le cose incominciarono a marciare.
BRIANZAOGGI L’INIZIO – Non era il canonico giornale locale (si sta parlando dell’inizio degli Anni ’90) che, come massima qualifica, si pone come “secondo quotidiano indispensabile”. Parti minuscole con il materiale di agenzia; a mo’ di esempio. Lo sport fu autoprodotto e scritto dalla prima all’ultima riga, su temi anche scoccianti ed ancorato alle cifre ed alle storie anziché alla ridondanza di aggettivi, quasi si vivesse in un’economia di guerra e quindi ogni millimetro-colonna fosse da sfruttarsi. Sulla cronaca, pagine e pagine martellate e fatte e disfatte e rifatte, nonostante le accennate bizze del sistema di impaginazione che, a titolo di esempio, ti stroncava sulla lunghezza dei titoli a loro volta compressi nei maledetti “format” non scalabili. L’inflessibilità fu però vinta con la forza bruta di un tizio che, avendo vissuto un certo periodo nel primo quotidiano videoimpaginato in Europa, cavò dal cilindro l’algoritmo utile e necessario alla compressione lineare dei titoli stessi. Nulla di eccezionalmente pratico, si trattava di infilare segni diacritici in pari numero all’inizio ed alla fine della riga e poi di procedere alla verifica: se bastava, sfornare; se non bastava, altra iniezione di carabattole informatiche. Per buona informazione di quanti palleggino oggi un qualunque “personal computer”: i tempi di elaborazione erano a volte tali da consentire la pausa-caffè tra tentativo ed esito del tentativo. Ed il bar più vicino si trovava a buoni 300 metri.
BRIANZAOGGI LA FINE – Arrivò Natale, arrivò l’Epifania. Si cresceva. Pestando a destra ed a manca, con una libertà di azione inusitata (financo i neofiti si sorprendevano, figurarsi gli “anziani”). Oh, sì: qualche “fior fiore dei più bei gigli di campo” si sentì toccato. Capirete, le anime sensibili abbondano tra i maestrini dell’etica a doppio cassetto, predico per te e faccio quel pare a me. Ci si prese una soddisfazione da scudetto – noi, approdati al professionismo con una selezione di virgulti attinti qua e là nei campionati amatoriali – nel caso di un morto lungo la Novedratese. Pur nell’irritualità della scena (cadavere carbonizzato a pochi passi dalla sua auto), sulla concorrenza blaterarono di suicidio e liquidarono la vicenda ai margini, mentre a noi l’omicidio era parso chiaro e netto. Insistemmo per giorni, a costo di tirarci addosso le ironie di un maresciallo dei carabinieri (“Fantasioso, troppo fantasioso, quel vostro cronista”). Infilammo il naso sino alla porta del laboratorio del medico legale incaricato dell’esame autoptico, avendo piazzato un collega a presidio e con l’ordine di non “staccare” nemmeno per esigenze fisiologiche. Andammo persino al funerale della vittima e dalle parole del sacerdote cogliemmo un refolo di verità a conferma. L’omicida, che risultò essere moglie del morto, finì in manette da lì a poco e si buscò una quindicina di anni.
BRIANZAOGGI LA CHIUSURA – Le sorti del giornale vennero decise non dal mercato, ma dalle (s)convenienze politiche e da una Caporetto informatica. Tornata elettorale, tutti ben preparati: ogni pagina non essenziale fu chiusa alle ore 15.30, salvo diritto di ribattuta su fatti clamorosi; via via che i risultati giungevano, l’inizio dell’inserimento dei dati, ad uno ad uno, riga per riga, Comune dopo Comune. Il sistema elettronico si rifiutò di collaborare: andò in oca, fu riavviato, si inchiodò. Alle ore 21.50 di quel giorno, che fu esiziale per le velleità di conferma della “Balena bianca” in cui parte della cordata editrice si riconosceva, tentammo l’inosabile incominciando a trascrivere a mano le percentuali e sperando di poter poi fotografare ogni singola casella e di riassemblare il tutto come s’usava nella composizione al tavolo luminoso. Illusione stroncata, sullo schermo principale del sistema il cursore d’un verde catatonico scelse proprio quel momento per lampeggiare tre volte e per dirci “addio”. Gelo in sala, l’ultimo ad arrendersi fu il tecnico già rugbysta e che le provò tutte, compreso un “by-pass” in forza del quale i singoli terminali avrebbero potuto generale singole pagine, “Ma non va, Kazpercak”, fu l’epitaffio. Uscimmo ad edizione incompleta, un relitto di giornale. “
BRIANZAOGGI IL PRETESTO – Forse e senza forse, nella cabina di regìa dell’invisibile proprietà avevano bisogno di un pretesto per cavarsi fuori. E lo diciamo ora, per mesi qualcuno di noi si pose domande e trovò anche risposte, la puzza del sabotaggio aleggia ancora in quei locali. Inghippo, certo, ma procurato, causato dalla mano di terzi? Uno era in grado di scoprirlo. Gli si parlò a quattr’occhi e con voce sommessa, all’impiedi. Non si ebbe responso, A strapparci il collega, l’amico, il confidente di una confidenza terribile fu in quel fine-settimana un incidente stradale. Ricordo la mattina all’alba in cui partì da Monza con la sua fiammante motocicletta per non fare più ritorno se non in una cassa.
BRIANZAOGGI LE BALLE – Ci venne detto: “Stiamo per ripartire”. In qualche modo uscimmo ancora, dopo pausa di una settimana, ma fu il canto del cigno, nel gruppo degli editori (che già aveva perso un degnissimo industriale, anch’egli per sopravvenuto decesso) lo sfaldamento di intenti fu palese. Nemmeno il diritto al numero di congedo, nemmeno quello ci venne dato. Sparimmo, ciascuno su nuovi sentieri. Una pattuglia approdò a Bergamo, altri rifluirono nell’alveo delle collaborazioni saltuarie, altri abbandonarono il campo e si dedicarono a professioni più redditizie. Ma non si era detto che lì, in quel quotidiano, c’era tanta qualità? Vero, peccato che non sempre la qualità sia riconosciuta. Si dovette ricominciare, daccapo, e furono tanti sentieri da percorrersi: chi a Monza, chi all’estero, chi a Milano. Trovereste oggi alcuni di quei giornalisti – e troverete, se avrete voglia – alla guida di quotidiani piccoli e meno piccoli, nei gangli vitali di testate che dettano legge, in video o in voce, o nella quiete della meritata pensione. Alcuni di loro fecero squadra di nuovo, direttore e vice, direttore e redattore, nel segno di un rapporto indissolubile. Io scelsi (o fui obbligato) ad andare alla Cayenna di Bergamo con altri due pazzi come il sottoscritto. Tutti i giorni in motorino sin lassù con ritorno alle quattro del mattino, quando andava bene. ma questa è un’altra storia. Venticinque anni allora che mi hanno cambiato la vita e queste quattro righe mediate dai ricordi di un amico vero come Massimo Soncini, emigrato ora in terra svizzera a dirigere un quotidiano (il Giornale del Ticino) pure lui figlio di BrianzaOggi come me e tanti altri.
P:S: Ho raccontato solo una parte del raccontabile, stavolta. Sull’onda dell’emozione, del triste ricordo. Del resto, di tutto il resto, chi c’era e chi è passato a miglior vita, sa…
Marco Pirola