Brianza, l’usura e la banca dell’Ndrangheta. A scorrere le notizie di queste ore dalla Brianza quella sicuramente che ha colpito maggiormente l’immaginazione è la banca dell’Ndrangheta. Un “tugurio” sono definiti i locali nell’ordinanza di custodia cautelare. Ma da quel tugurio sono usciti milioni di euro diretti all’estero investiti in ogni modo.
LA BANCA CLANDESTINA – La banca clandestina gestiva centinaia di milioni di euro. Lo spiega Ilda Boccassini, il procuratore a capo della Dda di Milano. «L’organizzazione di era capillare, e riusciva a movimentare centinaia di milioni di euro – sostiene Ilda Boccassini – In una crisi come quella che sta attraversando il nostro Paese e il resto del mondo, le organizzazioni criminali mettono il loro potenziale militare e i loro capitali a disposizione di una classe imprenditoriale con il pelo sullo stomaco». Al vertice della cosca di Desio c’era Giuseppe Pensabene, nato a Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Pensabene, che era stato affiliato alla cosa degli Imerti – protagonista della “seconda guerra di ‘ndrina” combattuta negli anni ’80 in Calabria, a fianco delle famiglie Condello, Serraino, e Rosmini. Si trasferisce in Lombardia in quello stesso periodo. In Brianza, Pensabene sviluppa contatti con il locale di Desio, fino a diventarne il leader dopo l’operazione “Infinito”, che nel 2010 ha decimato le cosche calabresi in Lombardia e in Brianza. Nel 2010 viene solo toccato dall’inchiesta, con il sequestro di beni per 10 milioni di euro, ma evita il carcere. «Pensabene non costituisce un ‘locale’ classico, anche se la violenza veniva comunque esercitata per intimidire, ma un gruppo dedito alle operazioni finanziarie» ha spiegato il sostituto procuratore Giuseppe D’Amico. E’ così, racconta ancora D’Amico, che prospera la banca clandestina di Seveso, localizzata all’inizio in un locale così misero da essere soprannominato “il tugurio”.
LA BANCA DELLA BRIANZA – La banca della ‘ndrangheta in Brianza effettuava tre tipi di operazioni. Tutte quante rivolte agli imprenditori della Brianza.
1) Usura in senso classico, con tassi fino al 20% che hanno mandato sul lastrico diversi imprenditori, costretti poi a cedere le proprie attività.
2) Erogazione di credito a imprese amiche completamente controllate dagli stessi ‘ndranghetisti
3) Ma il vero business era la “compravendita di denaro”. Pensabene e soci aiutavano infatti le imprese del tessuto lombardo a creare fondi neri attraverso l’erogazione di denaro, gli imprenditori li ripagavano con assegni e trasferimenti con un 5% di provvigione, una somma comunque inferiore a quella che avrebbero dovuto pagare in tasse allo Stato se avessero dichiarato i patrimoni alle autorità fiscali. «Dobbiamo essere come i polipi, mettere i tentacoli dappertutto – afferma Pensabene in un’intercettazione – perchè con questa crisi ci cono le condizioni per poterlo fare».
LE VIOLENZE PER CHI NON PAGAVA – Contro gli imprenditori impossibilitati a pagare i prestiti usurari nel tempo stabilito veniva esercitata una violenza selvaggia, tanto che nessuno di loro ha mai denunciato le angherie subite, ma Pensabene e soci guardavano soprattutto alla Finanza. Alta Finanza. Qui che entra in gioco Emanuele Sangiovanni, il broker del gruppo. L’uomo, che controllava una serie di società svizzere con capitale britannico, si era messo a disposizione per scudare i capitali illeciti. In poco tempo diventa un vero e proprio un “ragazzo prodigio” protetto dal boss. «Questo sistema criminale finanziario sarebbe impossibile senza l’appoggio di ambienti che non appartengono all’organizzazione, in particolar modo imprenditori e funzionari pubblici» ha detto il capo della Squadra Mobile di Milano Alessandro Giuliano. Oltre agli imprenditori, infatti, tra gli arrestati ci sono il direttore e il vicedirettore dell’ufficio postale di Paderno Dugnano, a disposizione degli interessi della cosca: «Pensabene preferiva utilizzare le Poste, dove mandava i suoi scagnozzi a ritirare anche 100-200mila euro al giorno – ha spiegato ancora d’Amico – e dove i dirigenti conniventi non segnalavano niente all’antiriciclaggio. Bisogna intervenire a livello legislativo, perchè le Poste sono ormai una vera e propria finanziaria».
NESSUNA DENUNCIA – “Nessuno degli imprenditori o commercianti vittima di usura ha mai presentato denunzia all’autorità giudiziaria’’. L’omertà degli imprenditori, spiega il magistrato , “si spiega chiaramente se si tiene conto della strategia intimidatoria tipicamente mafiosa, a volte esplicita e sfociata in concrete condotte estorsive, a volte più sottile ed implicita, esercitata dall’associazione mafiosa nei loro riguardi, strategia che ha determinato chiaramente un diffuso clima di soggezione e di omertà per i debitori usurati ed intimiditi’’.