Un incontro atteso, anche in Brianza, quello con Gianfranco Fini. Ieri (giovedì per chi legge, ndr) le mille domande che da tempo gli ex An avrebbero voluto fare al loro ex segretario hanno trovato il loro momento.
Il generale di Alleanza Nazionale è stato infatti ospite di Noi di Destra all’Urban center di via Turati. Sulla carta, la presentazione del suo libro “Il Ventennio. Io, Berlusconi e l’Italia tradita”, di fatto una riflessione sulle ultime decadi di storia a destra.
Al tavolo dei relatori gli organizzatori Pietro Di Salvo, Firmo Moreno e Antonio Romano, insieme al giornalista (e direttore di nuovaBrianza) Marco Pirola. È toccato a quest’ultimo incalzare l’ex presidente della Camera sulle questioni che più stavano a cuore alla destra locale. Perché in sala di volti noti non ne sono mancati. Dagli ex assessori monzesi, come Marco Meloro e Andrea Arbizzoni, agli ex consiglieri fino ad un ritorno inatteso, quello di Edda Ceraso, volto storico della destra monzese.
IL FUTURO – Gianfranco Fini, seppure in molti ne dubitano, ha aperto subito le danze sul suo futuro.
Niente politica attiva: “Ho fondato un’associazione, che si chiama Liberadestra, e non ho intenzione di fondare un nuovo partito. La politica si può fare anche attraverso il dialogo con il mondo della destra di cui io mi ritengo tuttora parte. E come non ho intenzione di fare un partito, non ho intenzione di bussare a qualche porta chiedendo un posto”.
IL PASSATO – Inevitabile che fosse il passato, soprattutto quello più recente ad attrarre l’attenzione del pubblico. Una spiegazione vera sul famoso “Che fai? Mi cacci?” pronunciato da Fini durante quello che sarebbe stato il suo ultimo congresso di partito, la separazione da Berlusconi e le vicende più giornalistiche che giudiziarie (il caso si chiuse con il non luogo a procedere in assenza di reato) sulla casa di Montecarlo.
“L’errore che non perdono a me stesso – ha spiegato – è stato quello di far nascere il Pdl. Nessuno, o quasi – l’unico in quel momento che davvero mi disse di non farlo era stato Roberto Megna – disse che era un’idea sbagliata e ci muovevamo sull’onda della nascita del Pd che andava a rappresentare il grande contenitore democratico sull’altro fronte. Il problema è che una volta nato il Pdl, Berlusconi ha cominciato a comandare, che è cosa ben diversa dal dirigere. Io non me ne sono andato dal Pdl – ha precisato Fini – sono stato dichiarato incompatibile. E tra l’altro il mio caso fu l’unico vero momento in cui il Pdl votò”.
DESTRA E GIUSTIZIA – Il pomo della discordia. “Lo racconto nel mio libro – ha raccontato l’ex presidente di Montecitorio – un giorno vennero da me Gianni Letta e Silvio Berlusconi che mi chiesero di convincere Giulia Bongiorno, che era allora nella commissione Giustizia, a sostenere la necessità di accorciare i tempi della prescrizione. Io mi dichiarai contrario.
A onor del vero nessuno dei due disse che era necessario affinché i processi di Berlusconi non arrivassero a sentenza, ma dalla mia ho sempre pensato che non è possibile andare a spiegare alla vittima di un reato che il processo non si fa più”.
DESTRA E FUTURO – Fini nell’occasione ha lanciato più di un messaggio a chi ancora si ritiene di destra. “L’obiettivo dell’associazione è di mettere un po’ di sale nella minestra della destra.
Un tempo era più facile, c’erano le ideologie a guidare, oggi il mondo è cambiato e ha bisogno di risposte che siano ancora prima idee”. Così l’ex leader di An ha aperto anche a temi complessi come i diritti civili, le unioni gay e il problema della cittadinanza: “Non penso al matrimonio, che è un’altra cosa. Ma è fondamentale riflettere su temi come il riconoscimento dei diritti, ossia il fatto che due persone che hanno trascorso la vita insieme, possano vedersi riconosciuto il fatto di assistere il proprio compagno o compagna sul letto di ospedale, così come trovare delle soluzioni alle questioni ereditarie”.
E sul discorso dello ius soli: “Premetto che non sono d’accordo con lo ius soli, ma è folle non vedere che un bambino che è nato in Italia da genitori stranieri, che vive in Italia, studia e poi lavorerà, non possa essere italiano. In Francia, ad esempio, la destra ritiene che francese sia chi ama la Francia e non solo chi ci è nato. Poi ci sono i lepenisti che dicono altro, ma lo schieramento della destra moderna accetta questo concetto e lo condivide”. Così la proposta di Fini: “Un bambino che abbia trascorso almeno undici anni ininterrotti in Italia, che sia questo il suo Paese di nascita, va riconosciuto come italiano”.