Atene, Tsipras e il referendum “elettorale”. Un referendum sui generis non poteva che portare a una campagna referendaria sui generis, giocata con ogni mezzo e che di fatto spacca la Grecia in due. Perché un referendum sui generis? Perché si chiede ai greci di dire “no” o “sì” a una proposta di accordo fatta da Commissione europea, BCE e FMI e risalente al 25 giugno che non è più sul tappeto, superata persino dalla proposta fatta il 30 dallo stesso primo ministro Alexis Tsipras. Tanto è vero che sulla sua legittimità ci sono ricorsi alla Suprema Corte: troppo brevi i termini per la convocazione, “tendenziosità” della scheda referendaria che mette sopra il “no”, sostenuto dal governo e sotto il “sì” sostenuto da parte dell’opposizione. Quindi è chiaro che la consultazione ha un mero significato politico: sostegno o meno al governo Tsipras. E ce la si gioca con tutti i mezzi. Corretti o no. La cosa che colpisce di più è che Tsipras, accusato dal leader dell’opposizione Antoni Samaràs (Nuova Democrazia che ha le sue belle responsabilità per la situazione attuale) di aver causato la chiusura delle banche e il nuovo calvario dei greci, risponda scaricando la colpa su Draghi. Che lo faccia Tsipras si spiega, ma che lo faccia un giornalista “esperto di economia” invitato dalla televisione di Stato appena riaperta proprio da Tsipras dopo l’improvvida chiusura voluta da Samaràs è meno scusabile.
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Draghi, accusato di oscure manovre politiche antigreche, si è esposto anche personalmente a favore dei paesi più deboli, ma deve comunque rispondere agli “azionisti” della BCE. Pochi ricordano il problemino della prima elementare: è difficile riempire la vasca da bagno se si toglie il tappo. Si butta solo via acqua. La corsa allo svuotamento dei conti correnti era cominciata da un pezzo, da quando era iniziato il braccio di ferro con l’Europa e si ventilava il ritorno alla dracma, con decine di miliardi che volavano all’estero. A Draghi non è rimasto che chiudere i rubiletti. Ma tutto fa propaganda e serve ad alimentare la sindrome da accerchiamento dei greci e sottolinearne lo spiccato nazionalismo sul quale si punta sia da sinistra che da destra. Meno pubblicizzato è il fatto che a sostegno del “no”, oltre ad ANEL di Panos Kammenos (centrodestra-destra, singolare alleato di governo) sono anche l’estrema destra di Chrisì Avghì e il KKE il partito comunista (con motivazioni del tutto diverse). Il centrodestra di Samaràs dal canto suo vede nel referendum un’inaspettata possibilità di ribaltare il risultato delle ultime elezioni politiche che lo aveva rimandato all’opposizione. A ruota i resti del PASOK (il partito socialista già di Andrea Papandeou) e il POTAMI (un nuovo partito tra il centro e il centrosinistra con somiglianze con nostro 5 Stelle ma fortemente europeista).
Chi vincerà? I primi sondaggi davano avanti il “no” di una decina di punti, ma dopo tre giorni di chiusura delle banche il vantaggio si è praticamente azzerato (da qui lo scaricamento di responsabilità su Draghi). Si può ben capire quindi quale significato politico possa avere una consultazione che vede il paese spaccato in due con contendenti che coagulano posizioni politiche addirittura antitetiche come quelle di Syriza e Chrisì Avghì su un argomento di tale importanza interna ed esterna.
Luciano Mutti
Giornalista, già caporedattore Il Giorno – Monza e Brianza